Un musicista che suona per assecondare e valorizzare le caratteristiche di un pezzo, mai per gratificare il proprio ego. Che studia per acquisire una capacità tecnica necessaria per eseguire un determinato brano o repertorio, mai per acquistare un’abilità fine a se stessa, da imporre nella musica che suona come un esercizio di stile. Un musicista che siede dietro alla batteria per celebrare la bellezza della musica e per portare gioia alle orecchie degli appassionati. Mai per cercare il consenso e l’ammirazione degli altri musicisti.
Una figura di musicista romantica, senz’altro lontana anni luce da quella di tanti musicisti di oggi, logorati dall’esigenza di una versatilità assoluta: tecnica, tecnologica e didattica. Urgenza dettata dal bisogno di essere professionalmente sempre più competitivi all’interno di uno scenario dove le possibilità di lavoro sembrano sempre meno. E questo trasforma tanti musicisti in veri e propri super eroi del pentagramma, capaci di esibire lo stesso virtuosismo sul proprio strumento, nella registrazione e produzione della propria musica o nella gestione della propria attività didattica. Perdendo però, forse, parte di quella serenità e ispirazione artistica pura che respiriamo tra le parole di Bandini. Un batterista che ama definirsi lento, pigro e, soprattutto, da turismo. Senza nemmeno la batteria in casa per esercitarsi. Ma che ha scritto pagine spettacolari nella nostra storia musicale.